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Curare il diabete con alimentazione e terapie naturali

Paolo Giordo - 16/11/2012




Pur essendo giudicato incurabile ed ereditario, il diabete è la malattia frutto della moderna civiltà industriale e si può prevenire con una sana alimentazione associata a una sistemica attività fisica. Questa “cura” è utile anche per attenuare gli effetti e le complicanze in chi già ne soffre 

Il diabete rappresenta, con le sue complicanze, una delle maggiori cause di mortalità nel mondo occidentale. Esso è dovuto a un’alterazione del metabolismo degli zuccheri. La carenza o l’inefficacia dell’ormone pancreatico insulina non permette infatti al paziente di utilizzare correttamente gli zuccheri forniti dagli alimenti, da parte delle cellule che hanno il compito di trasformarli in energia. 

Esistono fondamentalmente due tipi di diabete: il primo, insulinodipendente, si manifesta prevalentemente in età giovanile ed è caratterizzato dalla insufficiente produzione di insulina da parte delle cellule delle isole del Langherans pancreatiche. Spesso inizia in età infantile – come conseguenza di una pancreatite di verosimile origine autoimmune – con sintomi aspecifici come una spiccata tendenza ad ammalarsi da parte dei bambini e a protrarre tali malattie per lungo tempo. 

Questi casi richiedono la terapia sostitutiva con insulina che dura per tutta la vita. Nel secondo tipo di diabete, non insulinodipendente, si ha un esordio molto più subdolo e lento, in età adulta, in individui spesso obesi e sedentari, con turbe del metabolismo dei grassi e frequente familiarità con il diabete. Normalmente, in tutti questi individui viene consigliata una dieta che riduce i carboidrati e aumenta il carico di proteine.

Questa usanza, alla lunga, comporta una maggiore acidosi a livello metabolico con conseguenti danni ai reni e al sistema vascolare di tutto il corpo (specie a livello dei piccoli vasi più sensibili all’acidosi), portando a una serie di complicanze, così dette tardive, che conducono i pazienti a conseguenze irreversibili. Nel diabete insulinodipendente la mancanza di insulina determina una condizione di chetoacidosi (la stessa che si osserva nelle diete iperproteiche che escludono i carboidrati). 

Nel diabete di tipo 2, invece, si ha una graduale resistenza da parte delle cellule all’azione dell’insulina che comporta un aumento dell’insulina stessa nel sangue con conseguenze nocive. Un’ipotesi correlata, molto verosimile, è che l’acidità del sangue (dovuta a un’alimentazione raffinata e ricca di zuccheri) possa danneggiare le cellule pancreatiche che producono insulina. 

 

Sedentarietà, cattiva alimentazione ed ereditarietà: le cause del diabete 

L’alimentazione occidentale moderna, specialmente europea e americana, con il consumo enorme di cereali raffinati (pane, pizza, dolci, pasta ecc.) di ogni genere e di bibite gasate e dolcificate, sottopone il nostro pancreas a un lavoro immane al quale non è preparato che, oltre ad affaticare ed esaurire funzionalmente l’organo, conduce a uno squilibrio ormonale e metabolico che sfocia primariamente nel sovrappeso e nel diabete di tipo 2. Infatti molte indagini epidemiologiche mettono in correlazione il diabete con l’obesità e la predisposizione familiare. Sino a pochi anni fa il pane, la pizza, i dolci e la pasta erano nel mirino dei diabetologi di tutto il mondo perché guardavano all’indice glicemico finale dei suddetti prodotti ma non alla durata dei picchi che questi alimenti producevano. Infatti, il picco della risposta insulinica dopo l’ingestione di carboidrati, sembra essere la chiave di comprensione del meccanismo diabetico. 

Il pane integrale, i vegetali e i legumi, in forza del contenuto sia amidaceo che di fibre, sembrano essere gli alimenti più indicati nella dieta del diabetico o di chi è esposto a un rischio simile. Sembra che questa dieta, conformata anche nei limiti del “carico glicemico”, cioè della quantità totale dei carboidrati introdotti, sia in grado di modulare la produzione quotidiana di insulina. Da molti anni, infatti, l’osservazione delle popolazioni dei villaggi rurali, aveva chiarito che l’alimentazione raffinata, ricchissima di zuccheri, e poverissima di fibre, associata a uno stile di vita sempre più sedentario, rappresentava il vero male dell’Occidente industrializzato, concausa del diabete e di un’altra enorme serie di malattie metaboliche e degenerative.

Le fibre alimentari sono suddivisibili in due tipi: quelle insolubili e quelle solubili. Le prime comprendono la cellulosa e molte emicellulose della frutta e della verdura, dei cereali integrali, dei legumi ecc. Le fibre solubili in acqua comprendono pectine, mucillagini e altre emicellulose di alcuni tipi di frutta e altri legumi. Tali fibre hanno la funzione di rallentare l’assorbimento dei carboidrati ritardando anche i tempi di svuotamento gastrico, rallentando, in questo modo, l’assorbimento degli zuccheri. In tempi recenti è sorta una diatriba, avente al centro l’ipotesi che il cibo integrale potesse esercitare un effetto demineralizzante per il suo contenuto in fitati. Questa scoperta non ha mai rappresentato un problema per la razza umana che per molti millenni si è nutrita di cibi integrali. 

Il concetto di assorbimento completo e totale di ogni alimento appartiene esclusivamente alla visione chimica e meccanica moderna ma non trova senso e riscontro negli equilibri alimentari delle popolazioni rurali antiche e moderne che hanno fatto dell’assorbimento parziale la cifra imprescindibile della buona salute. Nei legumi, poi, sono proprio alcune sostanze antinutritive (ad es. gli inibitori delle proteasi) che possono giovare al diabetico. 

Sia le fibre che l’acido fitico aumentano la digeribilità dell’amido e influiscono positivamente sulla modulazione glicemica. Non sono forse i piatti a base di legumi e cereali integrali (pasta e fagioli, pasta e ceci, riso e lenticchie ecc.) dei cibi completi nel loro apporto di amminoacidi e minerali essenziali facenti parte delle usanze gastronomiche di ogni cultura tradizionale? Gli stessi legumi, ancor più dei cereali integrali, rappresentano un alimento indicato per i diabetici in quanto gli amidi in essi contenuti sollecitano una scarsa risposta glicemica evitando quei “picchi” così nocivi per chi soffre di diabete.

 

Gli alimenti amici dei diabetici 

I legumi possono essere consumati sia cotti che crudi germogliati per assicurare, in quest’ultimo modo, un supplemento di vitamine ed enzimi che inevitabilmente vanno perduti durante il processo di cottura. Gli stessi cereali possono essere consumati anche in grani interi bolliti. Ne è un esempio il “Pumpernickel” il pane scuro tedesco ottenuto aggiungendo alla farina integrale dei chicchi di frumento interi bolliti. Sembra che questo tipo di pane riduca la risposta glicemica con conseguente minor utilizzo di insulina. Tra i vegetali, un ottimo ipoglicemizzante è la cipolla (come anche altre piante del genere Allium). Berne il succo o mangiarne quotidianamente in insalata può avere un effetto che si avvicina all’azione di alcuni ipoglicemizzanti orali (tolbutamide) riducendo la glicemia e il fabbisogno di insulina. Lo stesso aglio, nella dose di uno spicchio a pasto, presenta le stesse caratteristiche ipoglicemizzanti. Per quest’ultimo, sembra che il problema legato all’odore sgradevole possa essere risolto o molto migliorato da una breve cottura a vapore (circa 15 minuti) dello spicchio con la buccia eventualmente avvolto in un piccolo foglio di alluminio. In questo caso l’aglio conserva inalterate le proprie capacità terapeutiche dimostrando una consistente termostabilità.

Tutte le brassicacee, inoltre (cavoli, rape, broccoli ecc.), contenendo principi attivi solforati, mostrano anch’esse un’azione ipoglicemizzante a patto che vengano consumate crude o dopo leggera bollitura al vapore, in quanto presentano una maggiore termolabilità rispetto all’aglio. È inoltre sicuramente utile un’introduzione di acidi grassi omega-3, ricchi in EPA e DHA, gli stessi che si ritrovano nei pesci “selvaggi” (non di allevamento), come lo sgombro, le alici, il salmone ecc. Tra gli integratori utili nel diabete, possiamo ricordare il cromo che abbassa la glicemia incrementando la sensibilità all’insulina e migliorando la tolleranza al glucosio. 

Anche la cannella (Cinnamomum zeylanicum), usata in cucina e aggiunta ad alcuni cibi, è in grado di inibire l’assorbimento dei carboidrati a livello intestinale, facilitando il lavoro dell’insulina. Un particolare tipo di zucchina amara, chiamata anche “bitter melon” (Momordica charantia) è un ottimo regolatore del metabolismo dei carboidrati: la sua azione è scientificamente dimostrata. Anche l’aloe, una pianta delle liliacee (come l’aglio e la cipolla), presenta un’attività di regolazione glicemica molto spiccata e utile nel diabetico. Tutti gli antiossidanti come la vitamina C, la E, la D, i carotenoidi ecc. proteggono, inoltre, il sistema vascolare dai danni causati dal diabete e dall’acidosi cronica.

 

 

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Articolo tratto dalla rivista nr. 30


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Categorie: Alimentazione e salute

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Alessandro DE NICOLA - 25 febbraio 2014

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