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La decrescita del PIL per la crescita del benessere. Intervista a Maurizio Pallante

Sonia Toni - 15/07/2008




Il seguente articolo è tratto dalla rivista Consapevole 15.

Risparmio energetico, case passive, fonti rinnovabili, autoproduzione: sono interventi che non fanno crescere il PIL, ma che portano benessere per gli individui e l’ambiente. Non sarà il caso di lasciarsi alle spalle un concetto obsoleto come quello di Prodotto Interno Lordo? Già il nome richiama alla mente qualcosa di poco pulito, e siccome l'esperienza insegna che "nome omen"(secondo i latini “il nome è un presagio”), sicuramente c'è da rifletterci bene sopra.
Il prof.Maurizio Pallante, consulente per l'efficienza energetica al Ministero dell'Ambiente, risponde con molta competenza e chiarezza alle mie domande su un tema così importante, a cui sono legate non sono le problematiche energetiche del nostro Paese, ma la messa in discussione dei fondamenti della società dei consumi.

Sonia Toni - Professor Pallante, vogliamo provare ad analizzare nel modo più semplice possibile a cosa corrisponde veramente la crescita del PIL?
Maurizio Pallante - Poco tempo fa l'Unione Europea ha promosso un convegno internazionale di due giorni su questo argomento dal titolo "Oltre il PIL". E quando non sono i soliti gruppi di ambientalisti, ma alti esperti di economia mondiale, coloro che gestiscono direttamente il potere, che cominciano a mettere in discussione il fatto che la crescita del PIL non corrisponde sempre alla crescita del benessere, allora significa che siamo molto vicini alla verità quando affermiamo questo concetto.

S.T. - Nella mia memoria scolastica, il termine "lordo" caratterizza qualcosa che si deve, per così dire, "sfrondare", qualcosa che io non posso utilizzare appieno.
M.P.
- È un termine che tiene conto anche di certi aspetti legati alla gestione degli scambi internazionali che, a loro volta, devono tenere conto delle varie valute. Si tratta di un concetto molto complesso. Tornando a quello che ci interessa maggiormente, il Prodotto Interno Lordo dovrebbe “misurare” i beni prodotti in un certo Paese. In realtà misura soltanto gli oggetti e i servizi che vengono scambiati con il denaro, quindi se una persona produce qualcosa per se stesso, oppure si scambiano dei servizi all'interno di una famiglia, gratuitamente, questo non fa crescere il PIL. Il concetto di merce non corrisponde al concetto di bene.
Ci sono delle merci che fanno crescere il Prodotto Interno Lordo, ma che non comportano un aumento del benessere. Facciamo un esempio: per riscaldare una casa in Italia il consumo medio è di circa 20 litri di gasolio all'anno per mq. In Alto Adige e in Germania non è consentito consumare più di 7 litri di gasolio al mq l'anno; gli edifici migliori ne consumano ancora meno, aumentando così il loro valore sul mercato. Confrontando le nostre case che consumano 20 litri, con quelle tedesche, da 7 litri, constatiamo che nelle nostre c'è uno spreco e una dispersione enorme di energia, senza contare la cattiva coibentazione dei muri, degli infissi, del sottotetto.
Quindi, quei 13 litri al mq all'anno di differenza sono una merce che fa crescere il PIL, ma non sono un bene perché non portano alcuna utilità, vengono dispersi. In questo modo c'è un peggioramento delle condizioni di vita, sia a livello individuale sia a livello ambientale. Spiego perché: sfruttando il nostro sistema, si scambia il 70% del calore per l'irraggiamento delle pareti e solo il 30% per il resto della stanza, per cui se si sta in una stanza con le pareti calde e la temperatura più bassa si sta meglio che in una stanza con la temperatura più alta e le pareti più fredde. In una casa che consuma 20 litri di gasolio – di cui 13 sono uno spreco – c'è dispersione di calore e quindi è una casa con le pareti fredde; una casa che ne consuma 7 non disperde calore e quindi ha le pareti calde. Insomma, una casa che consuma di meno non fa crescere il PIL, ma ci si vive meglio. Inoltre, una casa che consuma di meno manda in atmosfera 2/3 di CO2 in meno e quindi contribuisce a migliorare le condizioni ambientali.

S.T. - Raccontaci del tuo ruolo presso il Ministero dell'Ambiente.
M.P.
- Svolgo una piccola consulenza sull'efficienza energetica che influisce molto modestamente sulle politiche generali dell'ambiente. Ci proponiamo di realizzare delle esperienze, dei risultati pilota, sia dal punto di vista ecologico che economico, affinché, a parità di investimento, sia possibile ridurre le emissioni di CO2 nella maniera più ampia e si costituisca la premessa per lo sviluppo delle fonti rinnovabili: non in percentuali poco più che simboliche, ma in percentuali sostanziali. Se il consumo è 100 e io lo dimezzo, elimino le dispersioni e questo rende più interessante investire nelle rinnovabili. Io mi occupo di realizzare delle esperienze in cui si ottengono delle forti riduzioni di consumi energetici.
Anche in termini più generali diventa importante la certificazione energetica degli edifici: in presenza di una certificazione energetica si sa quanto l'edificio consuma; il suo valore aumenta se il consumo è basso e diminuisce se è alto.
E importante ricordare che la finanziaria del 2007 per la prima volta ha dato dei contributi per interventi finalizzati a ridurre i consumi energetici. Mettere i doppi vetri, fare l'isolamento ai muri, ipotizzare il solare termico per il riscaldamento, installare caldaie a condensazione: non abbiamo, come in passato, solo dei contributi per delle fonti rinnovabili, ma un contributo per la riduzione dei consumi e poi, certo, anche per le fonti rinnovabili. Tant'è vero che gli edifici che installano pannelli solari fotovoltaici in un progetto complessivo di ristrutturazione, ricevono un conteggio più alto rispetto rispetto agli edifici che prevedono soltanto i pannelli fotovoltaici. Si sta andando nella direzione giusta, anche se i passi sono ancora timidi.

S.T. - Gli ostacoli maggiori?
M.P. - Sono costituiti da tanti fattori messe insieme. In primo luogo possiamo parlare delle società che vendono energia in condizione di oligopolio e che non hanno interesse a ridurre i consumi. Società come l'Enel e l'Eni, che hanno gestito l'energia in condizioni di monopolio, anche se apparentemente accettano e promuovono l'efficienza energetica. La vera concorrenza si può fare soltanto uscendo dal monopolio o dall'oligopolio, dando a tutte le società, anche le più piccole, la possibilità di produrre e vendere energia.

S.T. - Enel, Eni: come producono energia?
M.P.
- In gran parte ancora con carburanti fossili.

S.T. - E questo boom di Enel, Sorgenia, Eni, e altre ancora, che pubblicizzano il rinnovabile?
M.P. - Il rinnovabile in Italia corrisponde ancora ad una piccolissima percentuale, infatti continuano a costruire centrali a carbone, che tanto rinnovabile non è, e centrali a ciclo combinato, che utilizzano il gas: la parte delle rinnovabili è poco più che simbolica. È una percentuale inferiore al 20%, ma di questo 20%, il 16 o 17% è costituito dall'idroelettrico e il rimanente dalla geotermia ad alta temperatura. Quest'ultima però sembra avere ancora un impatto ambientale notevole, a meno che non la si adoperi per piccoli impianti, sfruttando delle sonde che non vadano oltre i cento metri di profondità e, poi, utilizzando delle pompe di calore per alzare la temperatura al fine di riscaldare le case. Quello che si fa sul monte Amiata e a Larderello è un’altra cosa: lì si scava a profondità maggiori e si utilizza il calore per vaporizzare l’acqua, che fa girare delle turbine.

S.T. - Mi sembra di capire che il primo risparmio da fare è sul fossile.
M.P. - Prima di tutto il risparmio andrebbe fatto sui consumi di energia e sui servizi energetici, non sulle fonti.
Le fonti subiscono processi di trasformazione e diventano energia utilizzabile: un conto è il barile di petrolio, un conto l'energia elettrica. Dal barile di petrolio all'energia elettrica ci sono una serie di processi di trasformazione che comportano una perdita dell'energia contenuta nel petrolio: non tutto quello che è nel petrolio viene utilizzato. Per farti capire lo spreco di cui stiamo parlando, tieni presente che le perdite di energia che abbiamo fra il barile di petrolio e l'elettricità vanno dal 50 al 70%. Lo spreco di energia contenuta nelle fonti – qualsiasi fonte – è maggiore rispetto ai servizi energetici che riusciamo ad ottenere.

S.T. - Com'è la situazione all'estero?
M.P. - In molti paesi si sta portando avanti una politica ambientale molto interessante: nella solita Germania, ma anche in Gran Bretagna e in Spagna, gli interventi principali sono volti alla diminuzione degli sprechi per ridurre i consumi di energia e all’uso delle fonti rinnovabili per soddisfare il fabbisogno residuo. A Londra stanno costruendo un intero quartiere con queste caratteristiche, in Germania lo stanno facendo già da molto tempo.
Qui non si è ancora capito che chi vende energia può vendere anche efficienza energetica. Ad esempio: se oggi ho un edificio che consuma 100 e, volendo fare in modo che consumi molto meno, non ho soldi per questo investimento, posso affidarmi a delle società che investono al posto del proprietario e che “si ripagano” incassando, per un certo numero di anni, il risparmio economico conseguente al risparmio energetico che riescono ad ottenere. In pratica, il proprietario continua a pagare 100 per un certo numero di anni, non ha nessuna differenza rispetto alla situazione di partenza, e il risparmio sui costi di gestione ammortizza di anno in anno il prestito ricevuto. Quando la società ha recuperato l’investimento e il suo utile, il risparmio appartiene al proprietario dell’edificio.

S.T. - Non pensi che questa lacuna sia anche dovuta ad una mentalità sbagliata, che fa pensare agli imprenditori che tutto quello che è ecologico non è economicamente vantaggioso?
M.P. – Certamente. E di questo sono responsabili anche gli ambientalisti che hanno sempre divulgato il concetto di ecologia come un fatto esclusivamente “morale”, che doveva essere seguito perché era giusto, anche se non conveniente. Se si adottano le tecnologie giuste, adeguate, si ottengono degli ottimi risultati sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista “morale”, cioè ambientale.


Abbiamo intervistato: Maurizio Pallante
Fondatore con Mario Palazzetti e Tullio Regge nel 1988 del Comitato per l'uso razionale dell'energia (CURE). Svolge attività di ricerca e di pubblicazione saggistica nel campo del risparmio energetico, delle tecnologie ambientali e della decrescita. È nato a Roma, vive da qualche anno in una cascina tra i boschi e le colline del Monferrato astigiano, dove coltiva ortaggi per autoconsumo, libri di eretici del pensiero, scrive di tanto in tanto saggi e qualche libro. Ha collaborato con La Stampa, Il Sole 24 ore, Il Manifesto e Rinascita.
Ha fondato il Movimento per la Decrescita Felice ed è impegnato in prima persona nella diffusione della cutura della decrescita.


Il Movimento per la Decrescita Felice
Il Movimento per la Decrescita Felice muove i suoi primi passi il 12 gennaio del 2007 quando Maurizio Pallante riunisce nell’abbazia di Maguzzano un gruppo di persone che ha incontrato in decine di incontri organizzati in tutta Italia per parlare del suo libro La decrescita felice. La proposta di Maurizio è quella di fondare un Movimento che metta in rete le esperienze di persone, associazioni, comitati per incamminarsi insieme verso la messa in pratica dei dettami della descrescita.
Tra il 16 e il 18 di marzo del 2007 il Movimento, costituito in via informale, raduna a Rimini imprenditori e professionisti per la Decrescita. Si tratta di imprese e professionisti che lavorano e creano occupazione proponendo prodotti e tecnologie che consentono una drastica riduzione dei consumi. A Rimini si costituisce il primo gruppo informale di coordinamento.
Durante tutto il 2007 Mauizio Pallante ed altri esponenti del Movimento hanno partecipato a decine di incontri, conferenze, dibattiti in tutta Italia.
Il 15 dicembre 2007 a Rimini il Movimento per la Decrescita Felice si costituisce ufficialmente come Associazione.

 

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Categorie: Decrescita




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