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No agli inceneritori: intervista a Gianno Tamino

Il professor Gianni Tamino difende i comitati romagnoli contro il raddoppio degli inceneritori di rifiuti di Ravenna, Rimini e Forlì

Marilena Spataro - 04/04/2007




No agli inceneritori: intervista a Gianno Tamino
Il professor Gianni Tamino difende i comitati romagnoli contro il raddoppio degli inceneritori di rifiuti di Ravenna, Rimini e Forlì

Marilena Spataro

Parla con cognizione di causa, il professor Gianni Tamino, ricercatore e docente di Biologia all’Università di Padova, quando affronta il tema dell’inquinamento atmosferico e ambientale provocato dagli inceneritori di rifiuti solidi urbani (RSU). Ha tutte le carte in regola per farlo, non solo come scienziato, conosciuto a livello internazionale, ma anche in base ad una lunga esperienza politica come Parlamentare, dall’’83 al’92, presso la nostra Camera dei Deputati e, dal’95 al’99, al Parlamento Europeo. Presso queste sedi istituzionali, si è sempre battuto a favore della tutela dell’ambiente e della salute, sostenuto non da semplici convinzioni personali, ma da anni di studio e di ricerca scientifica . Oltre a pubblicare su tali argomenti una serie di libri, il Professor Tamino, fra i rari accademici italiani a essere sceso, senza timori, dalla cattedra, non ha esitato a “spendersi”, partecipando in questi anni a conferenze e pubblici dibattiti, là dove i cittadini, costituitisi in comitati per contestare alcune scelte di politica ambientale locale, lo abbiano invitato. A parecchie di queste assemblee ha partecipato anche in Romagna, dimostrando, attraverso minuziose relazioni tecno-scientifiche, la sensatezza dell’ostilità popolare in merito alle scelte di raddoppio degli RSU di Ravenna, Rimini e Forlì o alla nascita di centrali termoelettriche a biomasse (Conselice, Russi) incompatibili con una sana ed incisiva politica ambientale.
 
Può spiegarci professore, in parole semplici, qual è l’impatto ambientale attualmente prodotto, in termini d’inquinamento atmosferico, dai tre inceneritori di Ravenna, Forlì (Coriano) e Rimini (Raibano) e cosa comporterebbe, come previsto, un loro eventuale raddoppio?
Va considerato che nel loro insieme i tre attuali inceneritori per rifiuti solidi urbani (RSU) di Ravenna, Forlì e Rimini hanno una potenzialità, in base ai dati di Hera, di bruciare 235.000 tonnellate all’anno di rifiuti, pari a oltre 600 ton/giorno (con la prospettiva di raddoppiare questo valore). Ciò significa che, a causa delle reazioni chimiche che intervengono nell’inceneritore (in natura nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma!) buona parte dei rifiuti si trasforma producendo oltre quattro milioni di metri cubi di fumi al giorno, che contengono un gran numero di inquinanti pericolosi per l’ambiente e per la salute. Un’altra parte dei rifiuti, pari a circa il 30% di quelli in entrata, diventa, invece, ceneri e scorie (cioè 70.000 tonnellate all’anno), classificate come rifiuti speciali, in parte pericolosi, che devono essere smaltiti in apposite discariche.
Gli impianti di incenerimento sono delle fonti di emissioni molto eterogenee (sia in termini qualitativi che quantitativi) perché sono eterogenei i loro combustibili: i rifiuti. Così, tra gli oltre 250 inquinanti che si possono trovare nei fumi, sono particolarmente rilevanti l’anidride carbonica (CO2), gas responsabile dell’effetto serra, e, tra i composti pericolosi per la salute e per l’ambiente, il monossido di carbonio (CO), gli ossidi di azoto (NOx), l’acido cloridrico (HCl), l’anidride solforosa (SO2), i metalli pesanti (in particolare il mercurio e il cadmio), le polveri, le sostanze organiche volatili (COT), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), le diossine.
Pur rispettando i limiti di legge, indicati da concentrazioni, possiamo affermare che, in valori assoluti, ogni anno questi inceneritori possono produrre circa 216.000 ton. di CO2, 80 ton. di CO, 320 ton. di NOx, 32 ton. di HCl, 160 ton. di SO2, 0,8 ton. di metalli, di cui 80 Kg di mercurio e 80 Kg di cadmio e tallio, 16 ton. di polveri, 16 ton. di COT, 17 Kg di IPA e 170 mg di diossine (TCDD equivalenti). Quest’ultimo valore potrebbe sembrare modesto (solo 170 mg, cioè 0,17 grammi in un anno), ma va tenuto presente che la dose giornaliera per l’uomo è di 2 picogrammi per Kg di peso corporeo. Ciò significa che, considerato che 170 milligrammi all’anno corrispondono a quasi 0,5 mg al giorno, cioè 500 milioni di picogrammi, l’emissione di diossine dei tre inceneritori potrebbe costituire la massima dose giornaliera per una popolazione (calcolando un peso medio di 70 Kg) di tre milioni e mezzo di abitanti, ben più di quanti si trovano nelle tre province considerate. La Commissione Europea ha recentemente denunciato che “l’esposizione a diossine e a PCB diossino-simili supera la dose tollerabile giornaliera (TDI…) in una parte considerevole della popolazione europea”, e la principale causa di emissione di diossine sono gli inceneritori. Inoltre le diossine si accumulano nell’ambiente e passano all’uomo soprattutto attraverso la catena alimentare (verdure, latte, carne ecc.), concentrandosi nel tempo e lungo la catena degli alimenti. Le diossine possono avere effetti sanitari a così basse concentrazioni sia perché cancerogene, ma anche perché in grado di alterare il sistema endocrino (cioè il funzionamento dei segnali ormonali).
Ma anche altri composti emessi dagli inceneritori possono avere effetti tossici e cancerogeni: metalli pesanti, IPA e polveri sottili, soprattutto quelle molto sottili, cioè di dimensioni inferiori ai PM 10 (cioè che hanno dimensioni inferiori a 10 micron, cioè 0,01 millimetri).
Ma altri composti possono provocare piogge acide (NOx, HCl, SO2), mentre altri possono danneggiare flora e fauna (CO, metalli, polveri ecc.).
Naturalmente raddoppiando le quantità di rifiuti inceneriti, anche se si ipotizza un miglioramento tecnologico, non si può che avere un forte incremento di questo già grave inquinamento.

Nella passata legislatura Lei è stato Parlamentare europeo, ha registrato difformità tra le politiche sugli inceneritori messe in atto in Italia e quelle adottate negli altri Paesi dell’Unione?
In passato molti paesi europei hanno fatto ricorso agli inceneritori, ma gli studi sugli effetti ambientali e sanitari delle emissioni hanno portato a ridimensionare il loro uso. Si è visto in particolare che le mucche che pascolavano vicino agli inceneritori producevano latte con alte concentrazioni di diossine. Inoltre la normativa europea ha indicato precise priorità nella gestione dei rifiuti: anzitutto ridurre la produzione, poi riutilizzare i prodotti e gli imballaggi, quindi riciclare i materiali e solo dopo aver esaurito queste possibilità ha senso ricorrere a discariche ed inceneritori. L’incenerimento è risultato in contrasto con la politica di riciclaggio, che va attuata attraverso la raccolta differenziata, perché si tende a bruciare carta e plastica, ad alto contenuto calorifico.
Così mentre nel resto d’Europa si disincentivava la costruzione di nuovi impianti di incenerimento, in Italia si è arrivati ad incentivarli. Infatti in alcuni paesi i contributi sono stati diminuiti (in Inghilterra è meno della metà rispetto all’Italia) o, nella maggior parte dei casi, tolti; ma in Danimarca è stata addirittura introdotta una tassa sull’incenerimento e Olanda e Inghilterra stanno discutendo lo stesso provvedimento. Solo l’Italia, in controtendenza, ha concesso contributi per l’energia elettrica ottenuta dall’incenerimento dei rifiuti, equiparandoli a fonti rinnovabili. Ciò equivale da una parte a incentivare la produzione dei rifiuti, anziché la loro riduzione, e dall’altra parte è in contrasto con la normativa europea che esclude di incentivare la produzione di energia ottenuta dalla plastica, che è di origine fossile (derivata dal petrolio): per questa ragione siamo stati richiamati e sanzionati dalla Commissione Europea per infrazione.

C’è un motivo valido per non chiamarli, da noi, col proprio nome, ma termovalorizzatori?
Solo in Italia gli inceneritori sono chiamati “termovalorizzatori” quando producono energia elettrica (ed in tal caso ricevono incentivi sotto forma o di CIP6 o di certificati verdi). In realtà meglio sarebbe chiamarli “termodistruttori” perché distruggono i materiali riciclabili presenti nei rifiuti e per questa ragione non contribuiscono a produrre energia, ma a perderla. Infatti dell’energia contenuta nei rifiuti solo un decimo diventa energia elettrica, mentre con il riciclaggio se ne può recuperare più del 50%.
 
In Italia esistono dei finanziamenti pro-inceneritori, in questi giorni si discute di modificare la normativa al riguardo. Secondo Lei è questo un modo valido per scoraggiare questo tipo d’impianti e, quindi, un primo passo verso una politica diversa su questa materia?
Dovemmo avviarci a fare come la Danimarca: togliere gli incentivi e introdurre disincentivi per l’incenerimento, in particolare delle materie plastiche. Mi auguro che il Governo approvi al più presto un provvedimento che escluda gli inceneritori da ogni tipo di finanziamento, almeno a partire da quelli non ancora in funzione.

In tutte le città dove si prevede d’installare o allargare gli inceneritori sono sorti comitati di protesta, così è stato per Forlì, Ravenna, Rimini. Lei ha sempre sostenuto queste iniziative fornendo anche un supporto tecnico-scientifico e partecipando attivamente con interventi in pubbliche assemblee, può spiegarci i motivi di questa sua adesione?
Credo sia doveroso, per chi dispone di alcune conoscenze tecniche, metterle a disposizione di chi si batte per la difesa dell’ambiente, della salute e del futuro dei propri figli. Continuare a produrre sempre più rifiuti e pensare di eliminarli bruciandoli significa compromettere il futuro di noi tutti, alterando l’ambiente in cui viviamo.

Lo scorso anno insieme al comitato “i medici contro gli inceneritori” e al professor Tomatis, Lei è stato ascoltato dalla II Commissione Consiliare del Comune di Forlì in merito all’inceneritore di Coriano e al progetto del suo raddoppio, ci racconta com’è andata e con quali risultati?
Insieme al professor Tomatis e alla dottoressa Gentilini ho cercato di spiegare alla Commissione Consiliare che in natura, pur essendo molto grande (ben maggiore di quanto avviene nelle attività umane), per quantità e qualità, la produzione delle complesse molecole presenti negli organismi viventi, che danno origine all’intera biomassa naturale, non si producono rifiuti, perché con l’energia solare si alimentano cicli biogeochimici, che riciclano continuamente i materiali utilizzati. Se vogliamo garantire un futuro alle nostre produzioni e al nostro ambiente dobbiamo imparare dalla natura: utilizzare energie rinnovabili e riciclare tutti gli scarti e tutti i materiali impiegati. Fondamentale in una fase di transizione è abbandonare l’incenerimento e spingere al massimo le raccolte differenziate, soprattutto con il metodo “porta a porta”.
I risultati non sono facili da valutare, comunque successivamente a quell’incontro in un altro Comune, a Forlimpopoli, è stata avviata una sperimentazione di raccolta differenziata con il sistema “porta a porta”, che ha dato in pochissimo tempo risultati eccezionali (oltre il 70% di raccolta) ed ora la Circoscrizione di Forlì che comprende l’area dell’inceneritore e che è contigua a Forlimpopoli, ha chiesto che tale sperimentazione sia estesa anche a quel territorio.

In questi ultimi mesi si sta diffondendo un allarme generale, che sta generando quasi una psicosi collettiva, a causa del mutamento climatico in atto di cui tutti stanno toccando con mano gli effetti. I mass media si sono tuffati nella notizia, specialmente dopo la relazione, al riguardo, della Commissione Europea. La gente è spaventata, la politica risponde blandamente e in modo contraddittorio. Sono anni che molti di voi, scienziati e studiosi dei problemi ambientali, dicevano che sarebbe accaduto, indicandone le cause. Qualcuno, come Lei, ha persino tentato di farlo capire attraverso l’azione politica, perché solo adesso se ne parla con tanta insistenza?
Centinaia di scienziati convocati dalle Nazioni Unite hanno concordato che la situazione climatica è molto grave: i cambiamenti sono in atto e la responsabilità va cercata soprattutto nelle attività umane. Molti di noi lo andavano dicendo da molti anni, anche nelle sedi politiche (come il Parlamento Italiano o quello europeo) ed oggi abbiamo la conferma di aver indicato correttamente cosa occorre fare: risparmiare energia e materiali, sostituire le fonti energetiche fossili con quelle rinnovabili, non produrre rifiuti, ma solo scarti da riciclare, evitare il più possibile le combustioni (compreso l’incenerimento di rifiuti), responsabili della produzione di gas in grado di alterare il clima.
Finora il mondo politico ha solo dato l’impressione di ascoltare blandamente tali indicazioni, ad esempio approvando il Protocollo di Kyoto (non tutti i paesi però: manca ancora la firma di Stati Uniti e Cina) o parlando di sviluppo sostenibile.
Ma si tratta spesso solo di un po’ di fumo: lo sviluppo sostenibile è diventato l’alibi per fare qualunque cosa, solo aggiungendovi il miracoloso aggettivo “sostenibile” (meglio sarebbe verificare la sostenibilità ambientale e sociale delle azioni economiche e politiche), mentre il protocollo di Kyoto, pur sottoscritto dal nostro paese, è stato totalmente disatteso. Anziché ridurre le emissioni di gas-serra le abbiamo aumentate del doppio di quanto doveva essere la prevista riduzione.
Inoltre i governi discutono più se, entro la fine del secolo, l’incremento della temperatura sarà di 3 o 4 gradi e se il mare si alzerà di 30 o 50 centimetri, mentre il problema è che comunque, più o meno, prima o dopo, gli effetti saranno devastanti, se da subito non si prenderanno i provvedimenti necessari, che il mondo politico sembra riluttante a prendere.

La politica messa in atto dai nostri Comuni, che, da una parte ricorrono sempre più spesso al blocco auto, mentre dall’altra autorizzano l’ampliamento di nuovi impianti che bruciano rifiuti o biomasse nocive alla salute e all’ambiente, è, con tutta evidenza, incoerente. Secondo Lei, questo atteggiamento è frutto d’incapacità oppure è complicitario rispetto a un sistema d’interessi altri?
Purtroppo sindaci, giunte e consigli comunali sono sempre meno in grado di prendere decisioni importanti e utili per la collettività e così si limitano a scelte poco impegnative, ma sostanzialmente inutili. Inoltre delegano sempre più i tecnici a prendere le decisioni che spettano ai politici. Anzi, con la privatizzazione dei servizi pubblici, stiamo addirittura assistendo all’inversione dei ruoli: non sono i Comuni che indicano ai gestori dei servizi cosa fare nell’interesse comune, ma sono le aziende private come Hera che decidono le politiche economiche, sociali ed ambientali dei Comuni, con un risultato che è sotto gli occhi di tutti: decidono le inutili o quantomeno insufficienti targhe alterne un giorno alla settimana per qualche settimana all’anno (ma senza sviluppare un adeguato servizio di trasporti pubblici) e contemporaneamente danno via libera ad impianti di incenerimento dei rifiuti o a centrali a biomasse (che poi risultano molto simili ad inceneritori).

L'intervista è apparsa sul numero di febbraio 2007 della rivista locale Natura e Città, edita da Macro Edizioni.

 

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Categorie: Ambiente


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