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Processo alla scuola

Perché la scuola così com’è non va bene e come potrebbe essere cambiata

Marianna Gualazzi




C’è un video molto bello che gira su youtube: un pubblico ministero giovane e di talento imbastisce un processo alla scuola, con un’arringa finale che scuote la giuria.

Il succo del discorso è che la scuola è, oggi, come era 150 anni fa: nata per formare all’obbedienza e alla sottomissione generazioni di operai, è oggi totalmente inadeguata al difficile compito di creare uomini e donne in grado di cambiare un sistema politico ed economico globale, quello del turbocapitalismo, destinato a collassare non senza grandi traumi e rivolgimenti mondiali.

Creatività, cooperazione, empatia, ecologia potrebbero essere il lessico base di una scuola nuova, capace di formare individui nuovi.

Appena ho visto il video mi è venuta in mente una cosa buffa: quando la scuola pensa di evolvere, di fare dei passi avanti, è già stata sorpassata e diventa obsoleta e grottesca. Un esempio su tutti: la LIM. La lavagna interattiva multimediale ha sostituito la vecchia lavagna con i gessi o quella bianca con i pennarelli.

Si tratta di un proiettore con cui il maestro o il professore proietta la lezione, precedentemente preparata sui appositi lucidi e al quale si possono collegare pc o altri dispositivi.

La LIM solleva l’insegnante e gli alunni dallo scrivere alla lavagna e dal respirare polvere di gesso e mette a disposizione della classe il mondo della rete.

Risultato? Quando mia figlia frequentava la prima elementare, sulla LIM hanno guardato Frozen e altri grandi classici Disney: si sa che i bimbi di prima dopo un po’ si stancano e non riescono a fare quattro ore di lezione.

Fatto dagli adulti per gli adulti

Ma perché nel 2017 la scuola funziona male? E male in che senso?

«In sostanza il problema principale appare, oggi, quello di elaborare un concreto intervento educativo che metta in grado l’istruzione di essere un decisivo fattore di promozione del rinnovamento personale e del benessere sociale» – scrivono Stefania Auci e Francesca Maccani nel libro La cattiva scuola. Lettera di due professoresse.

E continuano: «La vita, la tradizione e la storia dell’educazione presentano da secoli aspetti e prassi fuor di dubbio sconfortanti, assurdi, inspiegabili: bambini e ragazzi tormentati dal sistema disciplinare, studio arido, mortificante, mnemonico e nozionistico al posto di esercizio, originalità e gioia nell’apprendere. […] Si viene così a creare un circolo vizioso tale per cui l’agenzia preposta a insegnare ciò che serve maggiormente ai ragazzi, è spesso il luogo che essi odiano maggiormente».

Chi come me ha iniziato, da genitore, a frequentare la scuola dell’obbligo pochissimi anni fa, si è presto reso conto che si tratta di un ambiente profondamente impoverito e chiuso in se stesso: eppure con poco si potrebbe fare tantissimo, ma nulla si fa.

«La scuola, pur mutando ciclicamente i linguaggi con cui racconta se stessa, continua a essere strutturalmente conservatrice e assai spesso autoritaria» – scrive Franco Lorenzoni, maestro elementare da 38 anni e attivo nel Movimento di Cooperazione Attiva, nell’articolo Nella scuola, mettiamoci in gioco.

E continua: «Chi ci lavora stabilmente o in modo precario è bene non dimentichi mai questo suo carattere costitutivo e sappia che gli innovatori più radicali sono stati maestri nel rompere tabù e costrizioni e hanno sempre attinto energia e forza per le loro battaglie dal rompere steccati e dall’intrecciare continuamente l’interno con l’esterno, superando ogni chiusura autoreferenziale».

Che fare per cambiare le cose?

Ovviamente in questo spazio possiamo solo dare qualche spunto di riflessione: l’invito è quello di riflettere, appunto, e sia che siamo genitori, nonni, insegnanti, bambini e ragazzi l’esortazione è quella di interessarci a questa vecchia signora che è la scuola e provare a farle aprire i cancelli verso la città, la campagna, il bosco, la vita vera.

 

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Articolo tratto dalla rivista nr. 50


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