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E se "ripubblicizzassimo" il consumo dell´acqua?

Il 98% degli italiani beve l´acqua delle bottiglie. Intervista a Maurizio Pallante.

Alessandro Farulli - 06/07/2007




LIVORNO. «Queste cifre così alte mi sorprendono». E’ il primo commento di Maurizio Pallante, fondatore con Mario Palazzotti e Tullio Regge del Comitato per l’uso razionale dell’energia e teorico della decrescita felice, sui risultati del sondaggio, pubblicato oggi da diversi quotidiani, relativi al consumo di acqua in bottiglia e che sentenziano: ne fa uso il 98% degli italiani.

Proprio Pallante, nel suo libro la “Decrescita felice”, ha dedicato al tema un capitolo dal significativo titolo: Care, losche e tristi acque in bottiglie di plastica. E con lui abbiamo approfondito e analizzato i dati emersi dall’indagine di Eurisko-Panel Service.

Pallante, perché secondo lei gli italiani usano così tanto l’acqua in bottiglia e quindi, di conseguenza, non adoprano quella del rubinetto?
«Ci sono due aspetti: il primo è il meccanismo pubblicitario che conquista le persone. L’acqua in bottiglia è una delle cose più pubblicizzate in assoluto (e questo è abbastanza vero ma non del tutto, ndr). Tant’è che il costo della bottiglia d’acqua è tutto legato proprio alla pubblicità, perché per il resto il valore aggiunto è zero. Secondo punto, quello del sentore di cloro che si avverte bevendo l’acqua del rubinetto. Cosa che però si può ovviare tranquillamente come faccio anch’io scaraffandola qualche ora prima. Infatti così facendo l’odore sparisce. Ci sono poi altri metodi che funzionano, ad esempio puoi ionizzarla e anche così il problema del sapore non c’è più».

C’è dunque un problema di informazione?
«La pubblicità condiziona le scelte delle persone. Instilla in loro la convinzione di certe cose anche quando non sono vere. Io vivo in campagna, ma quando vado in città alla pausa pranzo vedo tantissime persone che prendono la bottiglia d’acqua da mezzo litro. Una quantità enorme di plastica che si accumula. Così ci si oppone agli inceneritori e poi con questo comportamento si contribuisce ad aumentare i rifiuti che poi ci finiscono dentro. E’ la stessa cosa che capita anche per altre cose come ad esempio i dati dello smog che aumenta e accanto la pubblicità della Fiat 500: causa e effetto non vengono incrociati da nessuno. Quindi un’informazione diversa è l’unico modo e basterebbe che in questa venisse investita una minima parte di ciò che viene speso per fare l’altra pubblicità».

Eppure qualche giornale ieri titolava sulla capacità critica dei consumatori: Lei che è anche consulente del Ministero dell´Ambiente per l´efficienza energetica sta per caso portando avanti anche una causa su questo tema?
«No, su questo mi impegno come singolo cittadino e con il lavoro di informazione che faccio sulla decrescita».

E sul piano della decrescita quale tipo di risposta sta incontrando, visto che la nave sembra andare proprio nella direzione esattamente opposta?
«Un interesse fortissimo. Dovunque vado a fare incontri o convegni trovo gruppi che già lavorano, persone che hanno bisogno di verificare e di confrontarsi su quello che stanno portando avanti. Chiedono indicazioni e consigli e il dibattito non è mai sterile. Insomma, si sta diffondendo questa pratica di decrescita personale».

Tornando alla questione acqua, non trova strano che da una parte ci si mobiliti perché sia pubblica e dall’altra invece si beva praticamente solo quella ‘privata’ e imbottigliata magari anche di proprietà di qualche multinazionale?
«Sulla questione pubblico-privato dell’acqua va detto che l’acqua non è una merce, è un elemento vitale. Il pubblico deve garantire quella quantità minima indispensabile ad un prezzo politico».

A parte il fatto che abbiamno appena finito di dire che il 98% degli italiani beve l´acqua-merce, non crede che l’acqua a prezzo politico o gratuita fino ad un tot di litri inviti allo spreco?
«Quei litri sono quelli indispensabili, lo spreco arriva dopo. E su quello si può pagare di più in modo progressivo».

Quando si parla di pubblico e privato la discriminante per i consumatori non dovrebbe essere quella dell’efficienza e dell´efficacia del servizio? Ad esempio in Italia la rete è un colabrodo e su questo il pubblico ha fatto bene poco. Inoltre, chi dovrebbe pagare i costi della ristrutturazione della rete?
«L’efficienza è problema molto forte. La mia proposta è quella di applicare anche all’acqua la logica dell’energy service company. Nel campo dell’energia queste aziende guadagnano sulla base di quello che riescono a farti risparmiare in termini di consumi energetici. In questa maniera, maggiore è il risparmio minore sono gli sprechi e maggiore è il suo guadagno. Usando un termine nuovo queste società vendono poi sul mercato negavattore. Ecco, la mia proposta è quella di fare una cosa simile per l’acqua».

Quindi una Water service company? Ma esistono nel mondo?
«Non ci sono, ma è proprio quello che intendo. Una water service company, la si può fare anche in una situazione a carattere monopolitisco come è in Italia. Il monopolio, infatti, è comunque un tipo di mercato. Credo quindi che una gestione pubblica si possa affidare a una struttura di questo tipo per migliorare la sua efficienza e i costi per il miglioramento o la ristrutturazione della rete sarebbe a spese loro, perché è così che loro guadagnerebbero. Di queste cose ne ragiona comunque il Rocky Mountain Institute».

A proposito di sprechi di energia e di acqua, perché secondo lei non si parla praticamente per niente dei flussi e dello spreco di materia?
«Non lo so perché. Credo comunque che fino a quando non c’è una possibilità di commercializzare le materie prime seconde se ne parlerà sempre poco. Secondo me infatti non bastano i consorzi obbligatori, i rifiuti della raccolta differenziata dovrebbero andare direttamente sul mercato».
 
Fonte: greenreport.it 6 luglio 2007

 

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Categorie: Decrescita,Ecologia e Localismo,Ambiente

















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