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Centrali Energetiche: Segreto di Stato

All’indomani delle dichiarazioni del neo ministro Scajola, si fa ancora più inquietante uno degli ultimi “regali” del precedente Governo Prodi

di Roberto Bosio

 

 

 

La notizia risale al mese scorso. Ed era già grave. Ma il suo peso specifico è cambiato da quando Scajola ha annunciato che “entro questa legislatura porremo la prima pietra per la costruzione nel nostro paese di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione”.

Uno degli ultimi atti del governo di Romano Prodi è stata l’approvazione del regolamento che detta i criteri per individuare tutto ciò che può essere oggetto del segreto di stato (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 90 del 16 aprile 2008 ed entrato in vigore il 1 maggio).

Già la scelta di emanare un regolamento su un argomento così importante, da parte di un governo in carica solo per svolgere l’ordinaria amministrazione (e per di più a elezioni già concluse) è per lo meno bislacca. Ma tutto passa in secondo piano quando si legge (al punto 17 dell’allegato) che tra le cose a cui potrà essere esteso il segreto di stato sono compresi anche gli impianti civili per la produzione di energia ed altre infrastrutture critiche.

 



Il regolamento prevede che: “nei luoghi coperti dal segreto di Stato le funzioni di controllo ordinariamente svolte dalle aziende sanitarie locali e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sono svolte da autonomi uffici di controllo collocati a livello centrale dalle amministrazioni interessate che li costituiscono con proprio provvedimento”. “Le amministrazioni non sono tenute agli obblighi di comunicazione verso le aziende sanitarie locali e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco a cui hanno, comunque, facoltà di rivolgersi per ausilio o consultazione” (il virgolettato precedente e quelli successivi sono tratti dall’articolo Il segreto di Stato sull’energia scaricabile all’indirizzo e sono tratti dal testo del regolamento).

Il neo Ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola

 

“Sono suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato le informazioni, le notizie, i documenti, gli atti, le attività, i luoghi e le cose attinenti alle materie di riferimento”.

Per completare il quadro manca una postilla: per chi rivela un segreto di Stato l’articolo 261 del Codice penale prevede una pena minima pari ai cinque anni di reclusione.

In altre parole, grazie al regolamento sopracitato nessun cittadino avrà legalmente diritto di sapere cosa accade nelle aree dove si trovano gli impianti soggetti a segreti di stato. E d’altra parte i Comuni e le amministrazioni locali non potranno comunicare informazioni, documenti, luoghi e attività riferite alle dette centrali.

Tutto questo varrebbe anche per il gruppo di centrali annunciate.

Non vi corre un brivido lungo la schiena? A me sì.

 

Fonti

www.noalnucleareinbasilicata

www.ecoage.com

www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getcomunicato&id=2361

 

 

Roberto Bosio è l’autore, con Alberto Zoratti del libro

Fermiamo Mr. Burns

Come evitare la trappola nucleare

Arianna Editrice, 2008



Ecco un assaggio del libro in esclusiva per te!


Far la pace con il pianeta

tratto da Fermiamo Mr. Burns di Boberto Bosio e Alberto Zoratti

Il suo geroglifico si dovrebbe tradurre con Anpu o Inepu (ovvero “colui che ha testa di un cane selvaggio”), ma in Occidente è conosciuto con il nome di Anubi. Per gli antichi egizi era il dio della morte. Doveva giudicare i defunti al loro ingresso negli inferi (il Duat) ponendo su un piatto della bilancia il cuore del defunto, e sull'altro piatto una piuma di struzzo, simbolo di Maat, una dea alata che rappresentava l’ordine cosmico, ma anche la verità, la giustizia.

Se il cuore era leggero come la piuma il morto veniva condotto da Osiride nell’Aaru, se invece era più pesante veniva dato in pasto ad Ammit (“colei che ingoia il defunto”) – una creatura mostruosa con la testa di un coccodrillo, le zampe anteriori di un leone e quelle posteriori di un ippopotamo – e il suo possessore era condannato a rimanere nel Duat.

 

La nostra civiltà oggi si trova ad una svolta simile. Se vuole garantire alle generazioni future un buon livello di benessere dovrà avere un cuore leggero come una piuma. Lo iato tra l’ampiezza del problema da risolvere e la modestia dei rimedi possibili a breve termine sta soprattutto nella forza delle credenze che riescono a sostenere il sistema su basi immaginarie. Bisogna incominciare a vedere le cose in modo diverso. Ciò che si richiede, nota Castoriadis “è una nuova creazione immaginaria di un’importanza senza confronti nel passato, una creazione che ponga al centro della vita umana significati diversi dalla produzione e dal consumo, che possa proporre obiettivi riconoscibili da tutti noi come ciò per cui vale la pena di vivere. Questa è la grande difficoltà che dobbiamo affrontare. Noi dobbiamo volere una società nella quale i valori economici cessino di essere centrali (o unici), dove l’economia venga rimessa al suo giusto posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo. Una società in cui si rinunci a questa folle corsa verso un consumo sempre più diffuso. Tutto ciò non è solo necessario per evitare la distruzione definitiva dell’ambiente terrestre, ma anche e soprattutto per uscire dalla miseria psichica e morale che definisce l’umanità contemporanea” (1).

Un vecchio proverbio francese dice che quando si ha un martello in testa si vedono tutti i problemi sotto forma di chiodi. Gli uomini moderni si sono messi un martello economico nella testa: tutte le nostre attività, tutti gli avvenimenti sono visti attraverso il prisma dell’economico. Non succedeva così nel Medioevo, quando tutto era piuttosto immerso nel religioso – forse non era meglio, ma era differente –, né presso gli antichi Greci, che tendevano a ridurre ogni cosa al politico e al filosofico, e nemmeno tra le popolazioni cosiddette primitive, per le quali i rituali e la parentela costituiscono la prima preoccupazione. Finché il martello economico rimarrà nelle nostre teste, questi tentativi di riforma saranno un vano e spesso pericoloso agitarsi.

Dovrà emergere una nuova cultura (2) che vedrà la rinascita del politico, nuovi rapporti con l’ambiente, una nuova etica.

Bisognerà rileggere il proprio vivere quotidiano sotto una nuova luce, quella della responsabilità, verso di sé, verso gli altri, verso il pianeta. Sarà necessario ripensare la propria esistenza come elemento di un sistema complesso, in cui ogni cambiamento si riverbera sugli altri e sul contesto circostante.

Sembrano banalità. Ma in un mondo dove il profitto immediato, il qui ed ora diventano imperativi categorici indipendentemente dagli effetti che provocano, è necessaria una nuova alfabetizzazione. Per ricominciare a capire che questo pianeta è l’unico che abbiamo ed una sua gestione oculata non è solo questione etica, ma un problema di sopravvivenza che riguarda tutti.

Non è ovviamente cosa che si possa fare da un giorno all’altro: “oggi pensiamo così, domani dovremo pensare altrimenti” (3). Sarà il risultato di un lavoro storico (4), e l’abbandono del nucleare per un’energia più leggera, potrebbe rappresentare un simbolo sul cammino che dobbiamo percorrere.

 

Note

(1) Castoriadis C., La montée de l’insignifiance. Les carrefours du labyrinthe, IV, Paris 1996.

(2) Come scrive Pier Paolo Pasolini “Ci sono certi pazzi che guardano le facce della gente e il suo comportamento”. “Sanno che la cultura produce dei codici; che i codici producono il comportamento; che il comportamento è un linguaggio; e che in un momento storico in cui il linguaggio verbale è tutto convenzionale e sterilizzato (tecnicizzato) il linguaggio del comportamento (fisico e mimico) assume una decisiva importanza” (Pasolini P. P., Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975).

(3) Tutti i tentativi di cambiare radicalmente l’immaginario, di cambiarlo con la forza, hanno ottenuto risultati terrificanti, come ha dimostrato l’esperienza della Cambogia. Nel 1975, la Cambogia cadde sotto la dittatura di Pol Pot e dei Khmer rossi, che causò più di un milione di morti e decine di migliaia di rifugiati, e costrinse buona parte della popolazione urbana a spostarsi nelle aree agricole con l’intenzione di costruire un modello di socialismo reale.

(4) Latouche S., Il pensiero creativo contro l’economia dell’assurdo. Intervista a cura di Roberto Bosio, Bologna 2002.

 

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