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Il frutteto con la siepe

Inizialmente le piante da frutto erano reperite principalmente nelle siepi o ai margini dei boschi, dove crescevano spontaneamente dai semi caduti, da frutti trasportati da vari animali o mangiati dall’uomo, i cui torsoli erano gettati a terra.

Sergio Abram - 20/03/2011




«Fin da bambino mi hanno sempre detto che il limite massimo della vita umana può essere considerato attorno al centinaio d’anni e che, normalmente, l’esistenza terrena degli umani è molto più breve. Allora, osservando ciò che riescono a fare molti alberi, si può dire che le piante siano notevolmente più evolute di noi» tratto da Dio è tutto e tutto è Dio di Sergio Abram

Il melo e il pero sono tra le più antiche piante da frutto coltivate. La loro origine è da collocare nelle vallate dell’Asia sud-orientale e nei territori caucasici, tra la Russia e la Turchia.
La loro coltivazione per scopi alimentari risale alla notte dei tempi e la loro diffusione nelle regioni dell’Europa ebbe inizio con le migrazioni delle popolazioni asiatiche.

In epoca romana erano tra i frutti più rappresentati sulle mense e furono introdotti in numerose varietà nelle regioni dell’impero. In Europa, nel medio evo, la loro coltivazione avveniva soprattutto entro i giardini della nobiltà e nei conventi, quindi il loro utilizzo
alimentare era confinato a un numero ristretto di persone.
Inizialmente le piante da frutto erano reperite principalmente nelle siepi o ai margini dei boschi, dove crescevano spontaneamente dai semi caduti, da frutti trasportati da vari animali o mangiati dall’uomo, i cui torsoli erano gettati a terra.

In seguito alla raccolta di piante selvatiche con caratteristiche meritevoli ebbe inizio la loro
coltivazione negli orti. La tecnica dell’innesto per perpetuare le diverse varietà fornì un contributo notevole per la loro conservazione, il miglioramento e la diffusione, che per alcuni secoli avvennero soprattutto presso i monasteri e gli orti delle chiese, dove una parte delle varietà fu anche creata con la messa a dimora di semi originati da piante coltivate.

Alcuni tipi, ancor oggi conosciuti, portano il nome di monasteri, di religiosi o di gente di cultura che ne curarono la selezione. Solo in tempi più recenti la ricerca di nuovi genotipi venne promossa da appositi centri di ricerca e da istituti universitari.
Dalle stesse varietà, in seguito a mutazioni intervenute localmente, si generarono degli ecotipi o varietà locali, che tuttora si trovano in gran numero in vari luoghi, anche con nomi diversi, pur appartenendo alla stessa razza.

Portinnesti

Prima degli anni Sessanta del secolo scorso il portinnesto di melo e di pero più utilizzato erano il franco e il selvatico, rispettivamente derivato da seme e prelevato in natura, che solitamente favoriscono lo sviluppo di piante vigorose, possedendo un apparato radicale esteso e ben ancorato al terreno. Queste piante non abbisognano di alcun sostegno e sono adattabili a qualsiasi tipo di suolo.

Il portinnesto, oltre a fornire un ancoraggio più o meno efficace al terreno, può influenzare la varietà fruttifera soprastante, inducendone l’adattabilità ai vari tipi di suolo, la vigoria, la precocità di produzione e alcune caratteristiche qualitative dei frutti, la resistenza ad alcune malattie crittogamiche e all’attacco di varie specie di insetti e di altri animali.
Altri portinnesti clonali, quindi ottenuti per riproduzione asessuata o agamica, provengono perlopiù da stazioni sperimentali, che hanno operato un programma di selezione, che hanno modificato gli assetti e le pratiche colturali.

Tra i portinnesti clonali, che a partire dalla metà degli anni Sessanta hanno avuto maggiore diffusione e che in qualche modo
hanno contribuito alla trasformazione della melicoltura e della pericoltura da reddito, vanno ricordati:
* per il melo (in ordine di vigoria e suddivisi tra i due centri sperimentali inglesi di East Malling e Malling Merton): EM 27, EM 9, EM 26, EM 4, EM 7, EM 11, MM 106 e MM 111;

* per il pero alcune selezioni di cotogno (Cydonia oblonga), BA 29 (cotogno di Provenza), MB e MA, entrambi ottenuti presso la stazione di East Malling, ohxF-40 (semenzale di William x Abate Fetel), resistente al colpo di fuoco batterico (Erwinia amylovora) e affine a tutte le varietà.

Varietà
Le innumerevoli varietà di melo oggi coltivate e commercializzate appartengono alla speciefamiglia Malus domestica, che viene anche chiamata Malus x domestica, poiché deriva dall’incrocio di diverse forme di Malus. Anche le varietà di pero sono ascritte alla speciefamiglia Pyrus communis, denominata anche Pyrus domestica. Pure questa entità sistematica deriva da
incroci tra diverse forme di Pyrus. Al fine di ottenere nuove varietà si provvide anche all’ibridazione tra cultivar europee e americane e altre di provenienza asiatica.

Ancor oggi le antiche varietà hanno mantenuto il loro vecchio nome, con cui sono anche presentate di gran parte di quelle più recenti, commercializzate spesso sotto protezione di un marchio, che ne favorisce l’anonimato.
Il nome di ogni singola antica varietà può rappresentare una o più particolarità, che possono riguardare la forma, il colore, il profumo, il gusto, l’aroma, la consistenza e la succosità della polpa, l’epoca di maturazione e i tempi di conservazione.
Altre hanno nomi di fantasia oppure che evocano il periodo in cui fioriscono, si raccolgono o arrivano a maturazione, ma anche che si riferiscono all’utilizzo cui sono destinate o alla loro produttività. Quelle che hanno avuto maggiore diffusione sono localmente chiamate anche con nomi diversi (sinonimi).


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Categorie: Decrescita,Ecologia e Localismo,Ambiente,Alimentazione e salute













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