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Il Presidente della felicità

In Uruguay Mujica è considerato il Presidente migliore del mondo: ecco cosa lo rende speciale

Romina Rossi - 10/04/2014




Classe 1935, Josè Alberto Mujica Cordano, o El Pepe, come preferisce farsi chiamare, è un Presidente di quelli che non ce ne sono più, o forse come non ce ne sono mai stati. Eletto a furor di popolo nel marzo del 2010, ha deciso di portare avanti una politica spesso criticata ma che ha come finalità il benessere e l’uguaglianza del proprio Paese.

Anche dopo essere diventato l’uomo più importante dell’Uruguay, non si è mai allontanato dalla sua gente, è rimasto uno di loro, in mezzo a loro: spesso scambia qualche parola con quanti lo incontrano, li ascolta, tifa per i giovani della squadra di calcio locale, che va a vedere ogni domenica, come farebbe un nonno orgoglioso dei propri nipoti.

Lo si vede sempre con un abbigliamento informale (jeans e scarpe da ginnastica sono la sua “divisa”) che adotta anche per le cerimonie pubbliche e solenni: a dicembre dello scorso anno, durante la conferenza stampa per la nomina del nuovo ministro dell’Economia e della Finanza, Mujica si è presentato con una camicia, pantaloni al polpaccio e sandali aperti ai piedi.

Ma si sa che l’abito non fa il monaco e tanto meno il Presidente, però le azioni sì.

E contano così tanto che persino l’Economist, bibbia neoliberista, ha eletto, per la prima volta dacché viene pubblicato, l’Uruguay Paese dell’anno 2013, indicando quel fazzoletto di terra alla fine del mondo e il suo presidente di ispirazione marxista e rivoluzionaria, come modelli da prendere ad esempio. 

Professione contadino

Benché sia Presidente da ormai 4 anni, Mujica sembra avere rivoluzionato solo il modo di fare politica, non la propria vita: dopo la nomina ha infatti deciso di aprire le porte del palazzo presidenziale ai numerosi senzatetto della capitale, mentre lui ha preferito continuare a vivere nella fattoria alla periferia di Montevideo, di

proprietà della moglie Lucia Topolansky, senatrice e vice Presidente: qui conduce una vita molto semplice, senza sprechi, continuando a fare quello che

ha sempre fatto, il contadino e il floricoltore, come c’è scritto nella pagina di presentazione del sito del governo uruguayano, alla voce professione.

Nella fattoria, dove non c’è acqua corrente ma solo quella ricavata dal pozzo in cortile, El Pepe alleva mucche, galline e cavalli, mangiando ciò che coltiva nell’orto. Per il fisco è nullatenente, per il resto del mondo il Presidente più povero del mondo: non possiede beni, se non un Maggiolino degli anni Settanta, con il quale si sposta anche per le occasioni ufficiali. Non ha auto blu né tantomeno scorte: nelle visite ufficiali lo accompagna l’inseparabile bastardina a tre zampe Manuela. Dello stipendio mensile che percepisce come Presidente, 250.000 pesos (circa 10.000 euro), tiene per sé solo 800 euro – è lo stipendio medio di un bancario in Uruguay – donando il restante 90% a un’associazione che si occupa dello sviluppo delle aree più povere e di microcredito.

A chi gli chiede perché lo faccia, Mujica risponde con la disarmante semplicità che lo contraddistingue: «Questi soldi, anche se sono pochi, mi devono bastare, perché la maggior parte degli uruguayani vive con molto meno. Non ho intenzione di cambiare il mio stile di vita solo perché sono il presidente». Governare attraverso l’esempio è il credo di Mujica, fedele al motto secondo cui «il potere non cambia le persone, le rivela per quello che sono veramente».

Nel suo caso non si tratta né di povertà né di austerità – termini che non gli piacciono perché sono «prostituiti» dagli europei – ma di sobrietà: «Credo che i poveri siano coloro che necessitano di tanto, perché chi vuole troppo non è mai soddisfatto. Io non sono povero, sono sobrio, vivo solo di quello che è necessario, non troppo legato alle cose materiali. Per avere più tempo libero per fare quello che mi piace. La libertà è avere tempo per vivere. Quindi vivere in modo semplice è una filosofia di vita, ma non sono povero». Forse sarà che non ha mai avuto una vita agiata o forse perché da giovane ha imparato sulla propria pelle che la vita è il bene più grande.

Rivoluzionario e guerrigliero

Figlio di contadini – la madre era di origini genovesi e il padre spagnolo – Mujica studia agronomia, ma si appassiona ben presto alla politica, come mezzo per ripartire in modo più equo la terra: negli anni ‘60 entra a far parte del Partito Nazionale e poco dopo aderisce al movimento di liberazione nazionale dei Tupamaros, un gruppo di sinistra ispirato alla rivoluzione cubana. Sono anni turbolenti per l’Uruguay, sconvolto da regimi dittatoriali più o meno rigidi. L’attività dei Tupamaros si intensifica e, durante le azioni contro il governo, Mujica rimane ferito 6 volte da colpi da arma da fuoco e catturato 4 volte. L’ultima è nel 1973 quando viene condannato e chiuso in completo isolamento in un carcere militare. La sua cella è un pozzo sotto terra, la sua vita appesa a un filo: è uno dei 9 rehenes – ostaggi – che sarà immediatamente giustiziato al primo sgarro dei Tupamaros fuori.

Per 11 anni non vede e non parla con nessuno («ho dovuto trovare rifugio in me stesso per resistere; ho dovuto inventare cose nella mia testa per non impazzire») poi gli consentono di leggere qualche libro (i suoi preferiti sono testi di matematica e di agraria). Le condizioni estreme della prigionia gli compromettono reni e vescica: i medici gli prescrivono di bere almeno 2 litri di acqua al giorno, ne riceve una tazza. Si salva quando la madre gli porta un vaso da notte e Pepe beve la propria pipì.

Per 14 anni sopravvive in questo modo nel ventre della terra, solo nel 1985 quando viene liberato grazie all’amnistia, può tornare alla vita.

In breve tempo si lascia l’orrore alle spalle e guarda al futuro: diventa il primo Tupamaros eletto in Parlamento, poi senatore e infine ministro dell’Agricoltura prima di occupare la carica più alta dello Stato. Riconoscimento dei matrimoni gay, depenalizzazione dell’aborto e legalizzazione totale della marijuana come lotta al narco-traffico e per la salvaguardia dei giovani, sono le leggi, spesso scomode, che ha fatto approvare, per migliorare le condizioni del proprio popolo. Ma anche potenziamento dello stato sociale e una maggiore attenzione verso il sistema educativo. 

Primo, la felicità

Il carisma di El Pepe è diventato ancora più contagioso durante la Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile Rio +20, nel giugno del 2012, quando prende la parola e improvvisa un discorso con il quale rivela il suo impegno ambientalista per la difesa del pianeta contro lo sfruttamento dei lavoratori, in favore invece di uno sviluppo che contribuisca alla felicità del singolo e della società.

«Veniamo alla luce per essere felici. Perché la vita è corta e se ne va via rapidamente. E nessun bene vale come la vita, questo è elementare. […] Lo sviluppo non può essere contrario alla felicità. Dev’essere a favore della felicità umana; dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, dell’attenzione ai figli, dell’avere amici, dell’avere il giusto, l’elementare. Precisamente. Perché è questo il tesoro più importante che abbiamo: la felicità!».

Felicità e ambiente vanno di pari passo:
«Quando combattiamo per l’ambiente, dobbiamo ricordarci che il primo elemento dell’ambiente si chiama felicità umana».

Qualcuno lo ha già proposto per il Nobel per la Pace, lui risponde che è una sciocchezza, che dovrebbe essere un premio per tutto l’Uruguay, non per lui solo; qualcun altro lo vorrebbe nuovamente candidato alle presidenziali di quest’anno, ma El Pepe ha già risposto che non lo farà, piuttosto tornerà a fare il contadino a tempo pieno nella sua fattoria, a coltivare gladioli da regalare agli amici e a preparare mate – il tipico tè uruguayano – per sé e per la moglie, vivendo come un normale cittadino libero, sobrio e felice.

 

«Sono un lottatore sociale. Appartengo a una generazione che voleva cambiare il mondo. Sono stato schiacciato, sconfitto e polverizzato. Ma continuo a credere che valga la pena di lottare perché la gente possa vivere meglio e con un maggior senso di uguaglianza. E credo che l’uomo abbia gli strumenti per creare un mondo migliore, ma non deve essere un mondo ricco di fattori materiali, ma molto più ricco in cultura e conoscenze»

Da un’intervista rilasciata alla televisione spagnola TVE il 31 maggio 2013.

 

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Articolo tratto dalla rivista nr. 36


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Categorie: Politica e Informazione,Decrescita,Ambiente


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