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Crisi: speriamo che duri!

Un’opportunità per dire basta alla follia della crescita

Marianna Gualazzi




Come non soccombere di fronte alla crisi ma trasformarla in opportunità di cambiamento, dai comportamenti individuali alla scala globale: è possibile?

Ne parliamo con Paolo Ermani, presidente dell’associazione PAEA (Progetti alternativi per l’energia e l’ambiente), tra i fondatori del quotidiano web “Il Cambiamento”, co-autore del recentissimo libro Solo la crisi ci può salvare.

Nel tuo libro Solo la crisi ci può salvare, scritto con Andrea Strozzi, indichi una data spartiacque, il 15 settembre 2008, tra un vecchio mondo e un nuovo mondo: cosa è accaduto quel giorno? Com’era il vecchio mondo?

Quel giorno è stato simbolicamente quello del grande crack delle banche americane che hanno trascinato con loro il mondo della finanza dando il via a una crisi generalizzata a livello mondiale.

Nel vecchio mondo, arricchirsi all’infinito con operazioni finanziarie rischiose e spericolate era prassi normale e consolidata. Si pensava che questi colossi fossero troppo grandi per poter crollare: figuriamoci in mano a quali menti pazze e perverse siamo.

Comunque non sembra che quello che sia successo abbia insegnato granché dato che si continua a fare praticamente lo stesso, ed è inevitabile che sia così perché il sistema della crescita e dello sfruttamento, in costante guerra con i concorrenti, non può fermarsi di fronte a niente e nessuno.

Quali sono le caratteristiche del periodo che stiamo vivendo ora? Possiamo ancora parlare di crisi transitoria, di un momento che passerà, oppure siamo di fronte a qualcosa di più strutturale?

Fortunatamente la crisi non passerà anzi noi nel libro speriamo addirittura che si aggravi. Bisogna intendersi quando si parla di crisi, perché se la crisi è quella del Prodotto Interno Lordo che calcola e integra qualsiasi produzione dannosa, compresa la produzione di montagne di oggetti superflui, dannosi o che diventano presto spazzatura, la produzione di armi, inceneritori, strade, centrali nucleari, prostituzione e spaccio di droga, allora speriamo che il PIL (Prodotto Interno Lordo) diminuisca sempre di più.

Meno PIL significa anche meno inquinamento, meno rifiuti, meno sprechi e più speranza di vita e sopravvivenza degli abitanti del pianeta e della natura, dato che per il PIL e il sistema della crescita infinita in un mondo dalle risorse finite dovremmo esaurire tutto fino all’ultima goccia.

E poi cosa facciamo? E non si pensi che tifare per la crisi significa lasciare la gente senza lavoro, perché nel libro abbiamo indicato chiaramente tutte le alternative occupazionali che ci sarebbero abbandonando la follia del PIL e che creerebbero molto più lavoro di quello che attualmente non crea il sistema della crescita.

Nel tuo libro mostri che qualcosa, piano piano, sta cambiando nel modo di vivere di tantissime persone, gli esempi che citi vanno “dall’installazione di fonti energetiche rinnovabili, alla partecipazione a orti comunitari, alla disaffezione dalle mode e dalle seduzioni del consumismo compulsivo, al recupero di una dimensione comunitaria delle prassi quotidiane, all’idea e alla pratica della condivisione, alla frantumazione delle catene che ci tengono legati a un mondo del lavoro che sta sempre più assumendo le sembianze di uno schiavismo postmoderno”. Ma gli stili di vita e le scelte personali saranno sufficienti a cambiare veramente il mondo?

Il sistema suicida della crescita si regge sulle scelte dei singoli: se domani decidessimo di trasferire in massa come singoli i nostri soldi dalle banche tradizionali alle banche etiche, il sistema perderebbe in un attimo tutta la sua forza. E questo vale per il resto, pensiamo solo a tutti i prodotti che vengono acquistati in quantità spaventose e sono superflui.

Sono scelte dei singoli che si fanno influenzare dalla pubblicità martellante. Nessuna multinazionale sopravvive senza che qualcuno varchi il suo negozio o paghi un suo servizio. E quel qualcuno ha un potere nelle sue mani inimmaginabile. Basterebbe dire semplicemente no.

Ma sempre più persone questo no lo stanno dicendo: anche a livello di massa si percepisce che siamo sull’orlo dell’abisso e che non ha alcun senso accumulare cose che ci imprigionano ai mutui, ai debiti, al lavorare sempre di più. La catastrofe è già in atto e si chiama corsa alla crescita del PIL.

Invece di pensare di dare a tutti la possibilità di vivere serenamente con cibo, riparo e acqua sufficienti c’è una minoranza di Paesi ricchi che vive nello spreco più vergognoso e una maggioranza di altri Paesi che vive in condizioni difficili o disperate.

Ci sono risorse economiche e possibilità per dare agli oltre sette miliardi di abitanti del pianeta una vita dignitosa, ma non lo si fa. Non è un problema che siamo tanti, ma che le risorse sono distribuite malissimo, a chi tutto e a chi niente.

Se l’unico cambiamento possibile per “salvarci” dall’autodistruzione della crescita e del controllo globale da parte delle superpotenze del turbo- liberismo è quello individuale, ti chiedo: cosa dobbiamo insegnare di “nuovo” ai nostri figli?

Non è l’unico cambiamento possibile ma è di sicuro il più importante. Anche la politica potrebbe fare molto, ma a parte delle illuminate eccezioni non fa praticamente nulla, anzi è al servizio di chi vuole devastare tutto per i propri interessi di arricchimento personale. Ai figli bisogna reinsegnare tanto, partendo da come nasce la vita e da dove veniamo.

Vivere a contatto con la natura e conoscere le basi dei cicli naturali e quindi della vita è un passaggio fondamentale per la rinascita dell’umanità. La sbornia supertecnologica e virtuale con l’esaurimento delle risorse si spegnerà più o meno lentamente e si tornerà a piccole comunità collegate fra loro che si baseranno sull’autosufficienza e le tecnologie appropriate.

 

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Articolo tratto dalla rivista nr. 49


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Categorie: Decrescita,Ecologia e Localismo

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