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ADHD: è davvero una malattia?

Un estratto dal libro di Stefano Scoglio "Non è Colpa dei Bambini. Disattenzione, iperattività e ADHD: i pericoli del Ritalin e il ruolo della Nutrizione" (Macro Edizioni, 2007)

Stefano Scolgio - 12/12/2007




Secondo il NIMH (National Institute of Mental Health, USA), leader nel mondo della promozione della patologia ADHD, questa presunta patologia coinvolge tre elementi principali:
a) defcit di attenzione;
b) iperattività;
c) impulsività.

La combinazione di questi tre elementi dà vita alla definizione di tre sottogruppi:
a) tipo prevalentemente iperattivo-impulsivo;
b) tipo prevalentemente incapace di attenzione;
c) tipo combinato (iperattivo e incapace di attenzione).

Per quanto riguarda i tre elementi, essi vengono definiti come segue: Iperattività - Sempre in movimento; parlano incessantemente; non riescono a stare seduti a lungo; hanno bisogno di essere sempre occupati. Impulsività - Incapaci di dominare le reazioni, o di pensare prima di agire; emettono commenti inappropriati; agiscono senza valutare le conseguenze; sono un po’ bulli. Deficit di attenzione - Si annoiano dopo pochi minuti; non riescono a concentrarsi su un compito alla volta. Sono molto attenti se fanno qualcosa che piace loro, ma fanno fatica a fare i compiti o ad apprendere qualcosa di nuovo. “Sognatori a occhi aperti”; confusi, letargici.
Si badi, i termini usati sopra non sono miei, ma proprio quelli usati dagli scienziati dell’NIMH, e non sembrano davvero molto “scientifici”. Si tratta di comportamenti che, in maniera più o meno intensa, sono sempre esistiti, sia come caratteri propri di qualsiasi bambino normalmente vivace, sia, nelle forme più intense, come caratteristiche di un certo numero di bambini più problematici, ma certo non per questo “malati”. Inoltre, quelle descritte sopra sembrano proprio essere caratteristiche che definiscono il bambino in quanto tale: impulsività-spontaneità, mancanza di responsabilità come sperimentazione dei limiti; sognare a occhi aperti ecc. Così, a causa della vaghezza e debolezza della sua definizione, il NIMH si affretta ad aggiungere che queste caratteristiche devono essere presenti tutte assieme per ogni sotto-gruppo; e che devono prorogarsi per almeno sei mesi. Tuttavia, anche così, i conti non tornano, perché al massimo questo prefigura situazioni di aggravamento della difficoltà del comportamento, senza che vi sia una vera e propria alterazione patologica sufficiente a definire una malattia in senso formale. Questa vaghezza e mancanza di scientificità nella definizione dell’ADHD dà ampio spazio all’accusa di “malattia inventata”. Con la definizione di ADHD perseguita dalle autorità sanitarie, il nostro Gianburrasca, anziché eroe letterario e televisivo, sarebbe già da un pezzo in un ospedale psichiatrico!



ADHD: MALATTIA INVENTATA?
Come è stato messo bene in luce dagli psichiatri critici del concetto di ADHD, esiste una distinzione essenziale, oscurata dai promotori dell’ADHD in quanto patologia, tra patologia e sintomatologia: la presenza di una serie di sintomi come alterazioni comportamentali più o meno gravi e occasionali non ammonta a una patologia medica, se non si trova il substrato fisiologico e biochimico che spieghi tali alterazioni, e che consenta così di risolvere le alterazioni stesse correggendo lo squilibrio fisiologico e biochimico. Questa definizione stessa necessita di alcune precauzioni, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto fisiologico, perché se è vero, come vedremo tra breve, che non esiste alcuna base biochimica della patologia ADHD, è anche vero che le alterazioni comportamentali hanno comunque sempre una base fisiologica, dato che noi siamo organismi psicosomatici, e dunque né meri corpi (come ci invita a pensare il modello biochimico e farmacologico), né d’altra parte pure menti (a cui rischiano di ridurci l’approccio unilateralmente psicologico e psicoterapeutico). In altre parole, è vero che non ci sono basi biochimiche (difetti cerebrali, alterazioni genetiche ecc.) che accomunano i bambini più o meno difficili (e a volte, come riconosciuto da molti, magari più o meno geniali!); e che dunque non si possa definire una patologia unitaria, come avviene ad esempio quando si parla di diabete. Ma ciò non toglie che, soprattutto nei casi delle alterazioni comportamentali più gravi che caratterizzano i bambini davvero difficili, o davvero incapaci di attenzione e concentrazione, esistano delle basi fisiologiche che però, prima di dover essere trattate farmacologicamente, possono essere affrontate intervenendo sui principali motori della fisiologia umana, la nutrizione nei suoi vari aspetti da un lato, e dall’altro l’intervento dialogico, psicologico e soprattutto affettivo, che certamente ha un effetto sulla nostra fisiologia (1).

(1) È ormai dato scientifico universalmente accettato il fatto che, proprio perché le emozioni hanno un preciso substrato biochimico e molecolare, le modificazioni emotive generano una cascata di trasformazioni fisiologiche che riguardano l’intero organismo, con profondi effetti sulla salute e sul comportamento. Così, se è vero che la paura iperstimola l’adrenalina con aumento eccitativo dell’attenzione ma anche dello stress; è vero anche che l’amore mette in moto neurotrasmettitori, dalla serotonina alla feniletilammina, che inducono benessere ed energia (almeno fin quando l’amore non diventi una ossessione che ci fa ricadere nella paura e nell’ansia). Per una introduzione al tema vedi Candace Pert, Molecole di emozioni, Corbaccio, Milano, 2000.  

 

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Categorie: Alimentazione e salute,Critica al Sistema Sanitario

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