Prepariamoci... a vivere meglio con meno
Luca Mercalli ci spiega come ridurre la nostra impronta ecologica sul Pianeta. Risparmiando...
Marianna Gualazzi - 20/08/2013
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Luca Mercalli ci spiega quale futuro ci attende a livello di cambiamenti globali del clima e della gestione delle risorse e come possiamo ridurre, attraverso semplici e importanti gesti, la nostra impronta ecologica sulla terra. Con la certezza che l’impegno di ognuno è importante e significativo, dal momento che i problemi del pianeta altro non sono che la somma dei comportamenti di sette miliardi di persone, chi più chi meno.
Il titolo del suo ultimo libro “Prepariamoci” è un invito a impegnarci tutti, in prima persona, per far fronte al mondo che verrà, un mondo che si prospetta ben diverso da quello in cui siamo abituati a vivere. Quali sono secondo lei le sfide più difficili e i cambiamenti più drastici a cui dobbiamo essere preparati?
La preoccupazione maggiore deriva dalla combinazione di tanti cambiamenti, che presi uno per uno sarebbero più facili da affrontare ma che tendono ormai a combinarsi in un unico stato di crisi: i cambiamenti climatici si sommano all’esaurimento delle fonti di energia a basso costo, alla crisi della produzione di cibo, all’aumento della popolazione terrestre, ai problemi ambientali legati per esempio all’inquinamento chimico dell’acqua, dell’aria e dei suoli, alla cementificazione e conseguente riduzione di terreno fertile per l’agricoltura, al costo maggiore delle materie prime e dei minerali. Mettendo insieme tutti questi fattori, abbiamo a livello globale, ma ancor più a livello nazionale, una elevata fragilità.
Se però cominciamo a ragionare su questi fatti con un certo anticipo ecco che è possibile attrezzarsi per non avere poi delle sorprese sgradite.
Perché abituandoci a vivere con meno possiamo essere più felici?
Se guardiamo alla nostra società occidentale ci accorgiamo prima di tutto che è affetta da un’enorme quantità di sprechi, almeno il 30% di tutto ciò che facciamo e utilizziamo è spreco.
Ci siamo abituati ad avere una bassa efficienza: quando le cose costavano di meno era più facile sprecare che occuparsi di usare al meglio le risorse. Oggi, in un momento di contrazione economica, tagliare lo spreco non significa ridurre la propria qualità di vita, significa soltanto avere un po’ di attenzioni e non rinunciare a nulla.
Anzi, si comincia a guadagnare perché lo spreco si traduce in spreco di denaro. Ne guadagniamo noi e ne guadagna l’ambiente in termini di meno rifiuti, meno emissioni di gas a effetto serra.
Dopo l’abbattimento dello spreco viene una visione del mondo un po’ diversa: si vede chiaro che nei Paesi occidentali oltre un certo limite di crescita economica e di consumi, la felicità non cresce di conseguenza – filosofi e sociologi stanno studiando questo fenomeno da tempo.
C’è in tutti noi una sorta di effetto saturazione e al di là della soddisfazione dei nostri bisogni fondamentali – che sono sacrosanti e inviolabili – quando si entra nel campo dei desideri si scopre che gran parte di essi sono indotti dalla pubblicità. I messaggi pubblicitari sono ingannevoli e ci dicono che saremo persone adeguate e che valgono nella società solo se acquisteremo il determinato profumo, vestito, automobile.
Dobbiamo imparare a fermarci un attimo e a pensare che di tante cose non abbiamo davvero alcun bisogno.
Secondo lei è veramente possibile che ognuno, nel proprio piccolo, attraverso costanti azioni quotidiane di risparmio delle risorse possa contribuire singificativamente alla salvaguardia del Pianeta? Di fronte ai piccoli sacrifici che nuovi stili di vita comportano molti si demotivano pensando di essere una piccolissima goccia nell’oceano...
I problemi del Pianeta altro non sono che la somma dei comportamenti di sette miliardi di persone, chi più chi meno. E anche le grandi lobby economiche che controllano in parte le nostre scelte, alla fine terminano nel mercato dei consumatori.
Quindi, in fondo, il piccolo può anche controllare il grande attraverso i propri consumi, attraverso la gestione oculata del proprio portafoglio e quindi delle scelte di ogni giorno: se compro un certo oggetto faccio una scelta ben precisa, do un voto. Anche il cambiamento delle abitudini può influire sulle grandi scelte economiche, certo non su tutte, penso ad esempio alla difficoltà d’influire sulle spese militari.
Quali sono le principali azioni che una famiglia che vive in città può adottare per ridurre il proprio impatto ambientale?
Prima di tutto penso si debba fare un bilancio non solo economico ma anche e soprattutto energetico della propria vita.
Una delle voci di spesa più importanti di una famiglia è proprio quella dell’energia: riscaldamento, gas, elettricità, combustibile per la macchina. Avendo chiaro qual è il proprio bilancio energetico possiamo agire sull’efficienza e diminuire i nostri consumi. Ad esempio, la maggior parte delle case, in Italia, è un colabrodo energetico: attraverso opere di ristrutturazione, sulle quali ci sono anche sgravi fiscali e incentivi, possiamo cominciare a tagliare del 50-70% i consumi della nostra abitazione, a parità di confort.
Anche per l’automobile vale lo stesso discorso: è molto diverso muoversi in suv piuttosto che con una piccola utilitaria. Conosco molte persone che hanno fatto bene i loro conti e hanno deciso di vendere la macchina, riuscendo a spostarsi agevolmente con i mezzi pubblici e noleggiandola o utilizzandola in car sharing quelle poche volte all’anno in cui non è proprio possibile farne a meno.
La voce “energie” è sicuramente la più importante in un discorso di descrescita felice; poi viene quella delle mode: abiti, cosmetici, profumi e tanti altri beni di consumo costano davvero cari solo perché “firmati”. Eliminando molti di questi orpelli la vita diventa più semplice, non si deve rispondere a nessuno del proprio comportamento e si risparmiano un bel po’ di soldi.
Ci racconta brevemente come vive con la sua famiglia? Quali scelte ha intrapreso verso la resilienza?
Oltre a quella del risparmio energetico della casa (isolamento termico e installazione di pannelli fotovoltaici per la produzione dell’energia elettrica) sono riuscito a fare scelte ancora più ampie trasformando un improduttivo giardino che assorbiva risorse in un fecondissimo orto che mi dà delle ottime verdure e mi evita di andare a fare attività fisica a pagamento in palestra: la mia palestra è diventata l’orto e in più produce i pomodori.
Inoltre ho modificato radicalmente le mie scelte di acquisto – cosa che tutti possono fare. La classica spesa settimanale al supermercato si è trasformata per me in una spesa ormai più che bimestrale andando ad acquistare solo quello di cui ho veramente bisogno e facendo una scelta molto ragionata sui prodotti che metto nel carrello. Ho ridotto sempre più il prodotto alimentare confezionato, precotto, a favore di cibi freschi o che possono essere cucinati in mille modi e hanno un basso costo iniziale, come i fantastici legumi.
In un mondo in cui tutto si compra, si rompe e si butta e in cui nelle nostre case siamo sempre al caldo e l’acqua esce abbondante dai nostri rubinetti, come possiamo insegnare ai nostri figli il valore del risparmio delle risorse? Penso ad esempio alla scuola materna di mia figlia in cui usano i bicchieri di plastica usa e getta ad ogni merenda o pasto: fanno tre pasti al giorno e sono sessanta bambini, il conto è presto fatto...
Prima di tutto è un fatto culturale: dobbiamo far capire anche ai bambini da un lato la preziosità delle risorse, quindi riflettere sul fatto che quel bicchiere di plastica è del petrolio che magari ha creato una guerra in un Paese lontano e che è arrivato con un lungo viaggio da noi: lo usiamo cinque minuti e poi si trasforma in un rifiuto. Dobbiamo far capire loro che il rifiuto fa male alla salute, che poi lo ritroviamo nell’acqua che beviamo, nell’aria, nei cibi.
Dopo questo passo viene il momento del comitato dei cittadini, dei genitori che chiedono alla scuola, al comune di cambiare metodo: so che questa battaglia è già stata fatta in diversi comuni italiani e ho nella mente il chiaro esempio degli studenti dell’Università di Padova, che hanno dato vita a un comitato per l’abolizione dei bicchieri in plastica alla mensa universitaria, presentando uno studio realizzato da loro, relativo all’impatto ambientale di questa prassi.
A questo punto la grande politica dovrebbe intervenire: riconosciuta l’evidenza dell’impatto ambientale nocivo delle stoviglie usa e getta, una legge nazionale dovrebbe proibirne l’uso in tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Pensa che in Italia ci sia una maggiore difficoltà a far passare un certo tipo di concetti di rispamio, tutela, bene comune e senso civico rispetto ad altri Paesi?
Questo è sicuramente vero anche per un fatto di pessima educazione ambientale: queste tematiche non si studiano a scuola, si studiano male o non sono collegate in una visione complessiva.
Non ci sono spesso le basi per spiegare a gran parte dei nostri concittadini cosa s’intende per rispamio delle risorse, tutela del territorio e del paesaggio ecc. Mentre queste tematiche sono molto meglio comprese e convertite in pratica dalla politica nei Paesi del Nord Europa, che sono certamente da prendere come modello: non bisogna neanche sforzarsi molto, basterebbe imparare a copiare da chi le cose le ha già fatte bene.
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Articolo tratto dalla rivista nr. 33
Categorie: Decrescita
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